Castello di Giovagallo
Il castello, di cui oggi non resta che qualche rudere, un dente rotto di torre e alcune stanze ormai riconquistate dalla terra e dalle sterpaglie, doveva all’epoca essere uno snodo strategico di controllo, sia per la posizione, sia per come fu costruito. Si trovava su un colle orientale del Monte Corneviglia, conosciuto come castellaccio, circondato sia a est sia a ovest da due gole profonde e raggiungibile via strada dal lato nord, oggi attraverso Agneda. Rimane comunque il fascino di questo luogo abitato da personaggi resi celebri dai ricordi di Dante nella Divina Commedia. Qui infatti, avrebbe conosciuto Alagia Fieschi, moglie di Morello Malaspina, che secondo la leggenda lo avrebbe convinto a completare il poema, come pure avrebbe incontrato Manfredi, figlio di Corrado l’antico
Ora pochi ruderi … ma un sito ricco di storia e un passato nobile
“Manfredi Malaspina, soprannominato Lancia per la sua abilità nell’usare talearma,
diviene signore di Giovagallo, dove edifica o amplia un castello conborgo murato sopra una collina impervia, quasi inaccessibile e rocciosa,situata sulla destra del torrente Penolo.
Il castello dominava la stradasottostante, gran parte del territoriofeudale e comprendeva, oltrel’abitazione della famiglia deimarchesi, dei dipendenti e degliarmigeri, una vasta cisterna ed un oratorio.”
“Prima con Manfredi, nel 1266, poi con suo figlio Moroello e la moglie Alagia Fieschi, i marchesi Malspina sono mecenati generosi di Dante Alighieri.
Una generosità che il sommo poeta ricambia citando
Moroello nel XIV Cantodell’Inferno e
Alagia nel XIX Canto del Purgatorio.
Moroello è definito “vapor di Val di Magra” e
la sua figura viene esaltata per il valore nella
battaglia di Campo Piceno, che il marchese di Giovagallo vinse
(Canto XIV, v.145-151):
“Tragge Marte vapor di Val di Magra”
Ch’è di torbidi nuvoli involuto;
E con tempesta impetüosa e agra
Sovra Campo Picen fia combattuto;
Ond’ei repente spezzerà la nebbia,
Sì ch’ogni Bianco ne sarà feruto.
E detto l’ho perché doler ti debbia!”
Alagia è protagonista del Purgatorio,
dove Dante la distingue dal resto della famiglia definendola
buona d’indole (Canto XIX, v. 142-145):
“Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
Buona da sè, pur che la nostra casa
Non faccia lei per essempio malvagia;
E questa sola di là m’è rimasa”.